L’attività fisica diminuisce la mortalità
I ricercatori si sono chiesti se l’attività fisica sia protettiva contro le malattie cardiovascolari anche nei paesi a basso reddito. In effetti, l’attività fisica è già stato legata a un minore rischio di malattie cardiovascolari nei paesi ad alto reddito, nei quali l’attività fisica è di tipo ricreativo. Nei paesi a basso reddito l’attività fisica è non di tipo ricreativo. Che cosa succede in questi paesi?
Nella ricerca sono stati considerati i dati di 17 paesi: Canada, Svezia, Emirati Arabi Uniti, Argentina, Brasile, Cile, Polonia, Turchia, Malaysia, Sudafrica, Cina, Colombia, Iran, Bangladesh, India, Pakistan e Zimbabwe. Sono stati incluse oltre 130.000 persone tra i 35 e i 70 anni di età, senza malattie cardiovascolari all’inizio della ricerca. Il livello di attività fisica è stato misurato con un questionario. Il follow-up è durato 6,9 anni.
Sono state classificate con un basso livello di attività fisica le persone che avevano un’attività fisica di intensità moderata inferiore ai 150 minuti la settimana, con un livello moderato se l’attività fisica durava tra i 150 e i 750 minuti e un livello alto oltre i 750 minuti.
L’attività fisica era associata a una riduzione della mortalità e delle malattie cardiovascolari maggiori. Un maggiore livello di attività fisica associata era associato a un rischio più basso di malattie cardiovascolari e di mortalità in tutti i paesi.
I benefici derivavano sia dall’attività fisica ricreativa sia da quella non ricreativa. I ricercatori hanno stimato che circa l’8% delle morti e il 4,6 cento di tutte le maggiori malattie cardiovascolari potrebbero essere evitati se tutti seguissero le raccomandazioni riguardanti l’attività fisica, pari a circa 150 minuti di attività moderata ogni settimana.
Fonte: Lear, S. A., Hu, W., Rangarajan, S., Gasevic, D., Leong, D., Iqbal, R., … & Rosengren, A. (2017). The effect of physical activity on mortality and cardiovascular disease in 130 000 people from 17 high-income, middle-income, and low-income countries: the PURE study. The Lancet
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